L’Universale editore


Il Natale di Roma

Duemilasettecentosettantatrรฉ anni fa, il 21 aprile 753 a.C., Romolo e Remo fecero un cerchio nei pressi del fiume Tevere, costruirono delle mura e fondarono Roma, la cittร  eterna.

Milleduecento anni prima della nascita di Cristo, il figlio del re di Troia, Paride, fece visita alla regione del Peloponneso, tra le calde isole greche ricoperte da querce e alti aceri, i quali adombravano cervi e cinghiali indaffarati nella loro fatica quotidiana, quella di cercare riparo dalle scattanti pantere e dai possenti leoni, che in quel lontano periodo popolavano la zona. Paride incontrรฒ Elena, regina di Lacedemone, la futura Sparta, se ne innamorรฒ e la portรฒ via con sรฉ. Menelao, suo marito, raccontรฒ che Elena non scappรฒ con Paride, ma che egli la rapรฌ. Tutti i greci gridarono vendetta, si armarono, e su mille possenti navi da guerra puntarono la cittร  di Troia, nellโ€™odierna Turchia. Dopo dieci lunghi anni dโ€™assedio la cittร  cadde, i greci la invasero e liberarono Elena, la quale tornรฒ tra le braccia di Menelao, che per il resto della sua vita si portรฒ addosso la fama di cornuto. Mentre i greci saccheggiavano Troia e ne sgozzavano gli abitanti, alcuni di questi riuscirono a mettersi in salvo. Tra loro vi era un valoroso guerriero, che durante la difesa di Troia si distinse per le proprie abilitร . Il suo nome era Enea, e insieme ad altri troiani salรฌ su una imbarcazione diretta verso ovest, scrutando da lontano le alte fiamme che divoravano la loro cittร  e squarciavano lโ€™oscuro cielo senza luna, mentre la forte luce che emanavano illuminava il grande cavallo dal quale uscirono i soldati greci. Enea sbarcรฒ in Italia, nel sud, e con le poche cose che possedeva si mise in marcia verso nord. Giunto nel Lazio, sulle rive del Tevere incontrรฒ Lavinia, figlia del re di Laurento, una piccola cittร  dalle case basse e umide, affollata da cani randagi sporchi di fango e mendicanti che passavano le giornate chiedendo del cibo, rannicchiati ai lati delle strade sudice mentre agitando le mani cercavano di tenere lontane le mosche.

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Enea e Lavinia fondarono una nuova cittร , Lavinio, lโ€™odierna Pratica di Mare, dove vissero col figlio di lui, Ascanio. Questโ€™ultimo, trentโ€™anni dopo, fondรฒ Alba Longa, sulle montagne di Montalbano, facendone la nuova capitale del Lazio. I discendenti di Enea e Ascanio regnarono indisturbati per duecento anni fino a quando, otto generazioni piรน tardi, sul trono del Lazio vi erano seduti due re, Numitore e Amulio. Assetato di potere, Amulio fece arrestare il fratello, buttรฒ la chiave della cella e uccise tutti i suoi figli, risparmiando soltanto la giovane e bella Rea Silvia, obbligandola a fare voto di castitร  per impedirle di generare un pretendente al trono di Alba Longa. Rea, durante una torrida mattina dโ€™estate, cercava di rinfrescarsi in riva al Tevere, mentre il forte vento sollevava delle grandi onde giallastre che scivolavano dolcemente sul suo corpo, attenuando il calore regalato dal sole, il quale splendeva dietro le rondini che in volo cercavano di ingannare la noia. Il dio Marte, che per caso passava di lรฌ, assistette alla scena, rimase rapito dalla bellezza di Rea, se ne innamorรฒ e la mise incinta. Il re Amulio, furibondo per lโ€™accaduto, ordinรฒ a un suo servo di annegare nel Tevere quei due neonati, ai quali Rea aveva dato i nomi di Romolo e Remo. Il servo, impietosito dal loro sguardo innocente non li annegรฒ, ma li mise su una zattera che si allontanava lentamente guidata dal vento.

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La piccola imbarcazione concluse il suo viaggio presso la palude del Velabro, ai piedi di una scura grotta chiamata Lupercale. Da questa vi uscรฌ una vecchia signora, Acca Larentia, chiamata Lupa perchรฉ era solita appartarsi nella foresta coi giovanotti del posto. Tuttavia li allattรฒ, si prese cura di loro e quando i due fratelli furono abbastanza grandi per comprendere la loro storia tornarono ad Alba Longa. Uccisero Amulio, liberarono Numitore e decisero di fondare una cittร  tutta loro. Andarono dove la loro zattera si era arenata, in mezzo a delle colline bagnate dal passaggio del Tevere, dove lโ€™erba dei campi scintillava grazie alla brina che splendeva appena veniva abbracciata dai raggi del sole. Fecero un cerchio e costruirono delle mura, giurando di uccidere chiunque osasse minacciarle. Remo, scettico sulla loro resistenza, ne fece cadere un pezzo con un calcio. Allora Romolo, onorando il giuramento pronunciato poco prima, prese una vanga e con un colpo secco alla nuca lo ammazzรฒ, macchiando col sangue fraterno quel 21 aprile 753 Ab Urbe condita.

Stefano Poma

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