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Cinquantacinque anni fa, il 30 agosto 1965,ย una grande valanga seppellรฌ l’immenso cantiere della diga di Mattmark uccidendo 88 lavoratori, di cui 56 italiani, emigrati in Svizzera per cercare un lavoro che in Italia, e soprattutto al Sud, mancava.ย
Nella torrida estate del 1965, nel cantiere di Mattmark, nel Canton Vallese abbracciato dalle Alpi svizzere, una valanga di piรน di due milioni di metri cubi di acqua e ghiaccio seppellรฌ la diga e ottantotto dei mille operai che lavoravano alla sua costruzione. La Svizzera, dal secondo dopoguerra fino alla metร degli anni settanta, attraversรฒ un florido periodo di crescita economica e nei suoi numerosi cantieri non ci si fermava mai. Nel cantiere di Mattmark, nel quale si costruiva una diga capace di produrre lโenergia necessaria per tutto il Paese, si lavorava 24 ore su 24, sei giorni su sette. Contrattualmente, un operaio lavorava 59 ore la settimana, fino a 15-16 ore al giorno, domenica e festivi compresi. Erano gli anni della ricostruzione, del boom economico; la guerra aveva ridotto gli Stati in macerie e lโintera Europa costruiva faticosamente la sua nuova immagine.
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LโItalia viveva due realtร differenti tra loro: il Nord si industrializzava, mentre il Sud subiva inerte il sempre piรน massiccio fenomeno dellโemigrazione. Il Meridione iniziava il suo lento e irreversibile esodo di massa: dallโAppennino, allโIrpinia, allโAbruzzo, dalla Sila alle coste salentine e sarde, il Mezzogiorno si svuotava senza sosta. Piรน di due milioni e mezzo di lavoratori emigrarono nella piccola Svizzera, che accoglieva il 50 percento del flusso migratorio italiano e molti di essi furono destinati alla costruzione di grandi opere, come quella del Mattmark inaugurata nel 1960. Grazie allo sfruttamento dellโenergia idroelettrica crebbe lโindustria e la modernizzazione del Paese venne notevolmente accelerata. Veniva a prepararsi un nuovo grande miracolo economico, un altro traguardo della nouvelle politique dโindustrialisation inaugurata negli anni Cinquanta, quando nellโagosto del โ65 il caldo e le insistenti piogge che si abbatterono sul Canton Vallese, dove si trovano i due terzi dei ghiacciai svizzeri, prepararono una tragedia che poteva essere evitata.
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In quei giorni, mentre gli operai osservavano preoccupati alcuni grandi massi staccarsi dal ghiacciaio e impattare sulla strada, uno di loro, Giuseppe Cleber, detto Bepi, figlio di una guida alpina e maestro di sci, allarmรฒ i colleghi: โRagazzi, se quel crostone di ghiaccio si stacca, noi qui facciamo la morte del topoโ. E pochi giorno dopo, in un maledetto lunedรฌ, il ghiacciaio dellโAllalin spazzรฒ via tutto: baracche, mense, officine, camion e pesantissimi bulldozer. Fu la provincia di Belluno, con 17 vittime, a essere la piรน colpita, insieme al Comune di San Giovanni in fiore, che perse 7 uomini. Il dolore toccรฒ borghi di provincia da Nordย a Sud, fino a quel momento sconosciuti, come Acquaviva di Isernia, Gessopalena oppure Bisaccia e Montella, Gagliano del Capo e Senorbรฌ e Orgosolo in Sardegna. La tragedia di Mattmark non ebbe mai un finale giudiziario. In appello fu confermata lโassoluzione per gli imputati e i familiari delle vittime, che chiedevano giustizia, furono condannati al pagamento delle spese processuali.
Stefano Poma
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