Articolo tratto dal secondo numero de «Il Caffè» del diciassette ottobre 2020. 

Ognuno di noi ha una persona che ammira a cui ispirarsi per il proprio lavoro o anche per un personale percorso di vita. Io da qualche tempo sono rimasto folgorato dalla figura e dall’opera di Bill Bernbach. «Bill chi?» diranno molti di voi. A molti quel nome dirà poco. Forse nulla. Ma state sereni, la quasi totalità delle persone è nelle vostre stesse condizioni. Eppure, senza di lui si sgretolerebbe oltre metà dell’advertising pubblicitario del secolo appena trascorso. Non appaia un azzardo se sto per paragonare la sua attività dal punto di vista della comunicazione creativa a quella di Galileo Galilei nell’astronomia, o Dante nella letteratura Italiana. Dopo di lui, nulla è stato più come prima. William Bernbach nacque in pieno Bronx nel 1911, iniziò a lavorare nell’ufficio spedizioni delle Distillerie Schenley ma, la sua vera grande passione era quella di scrivere per diletto – annunci per la pubblicità per i prodotti di quella stessa azienda. Un giorno, sfogliando il New York Times, Bill notò che per il lancio dell’American Cream Whiskey era stata pubblicata una sua idea, tale e quale, senza che però l’agenzia gli avesse riconosciuto alcun merito…

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Il boss della Schenley venne a saperlo e lo volle promuovere all’ufficio marketing. Nel 1949, fondò con tre amici, la DDB – Doyle Dane Bernbach. I tre partirono con le idee ben chiare: «Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono creare una buona vendita!». Nel 1960 insegnarono agli americani a “pensare in piccolo”: con una pagina quasi vuota con in alto a sinistra il “Beetle” Volkswagen piccolo piccolo e la scritta “think small”. Una filosofia folle e provocatoria per un’America sempre più malata di gigantismo del “think big”, un paese la cui parola d’ordine era “to be number one” e dalla DDB proponevano di “pensare in piccolo”. Questa fu solo una delle indimenticabili campagne pubblicitarie di Bill Bernbach, il pubblicitario più geniale del XX secolo. Qualche anno dopo, un’altra scritta campeggiava nei quotidiani in una pagina senza foto: «Non c’è motivo di mostrarvi la nuova Volkswagen ’62. Sarà ancora la stessa!”. I clienti della DDB erano del calibro di American Airlines, Seagram, International Silver, Heinz, Sony, Uniroyal, Lever, Gillette. Sembra paradossale ma, fedele all’idea che non ci si deve intrappolare in formule, un grande comunicatore come lui, raramente rilasciò interviste e non pubblicherà mai nulla circa le proprie teorie pubblicitarie. Da ciò che ci resta di lui possiamo distillare una frase che rivela la sua filosofia: «Le regole sono quelle che l’artista spezza; nulla di memorabile è mai uscito da una formula».

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Per il panificio Levy’s, ideò la foto di un bimbo di colore con il pay-off «non devi essere ebreo per amare Levy’s, vero pane di segale ebreo». La campagna per i magazzini Orbach’s, pensò alla foto di un bambino corrucciato e la scritta «Siamo spiacenti di informarti che la tua roba per la scuola è pronta da Orbach’s». «Dal 23 dicembre l’Oceano Atlantico sarà più piccolo del 20%» rendeva noto che linea aerea EL-AL accorciava i tempi della traversata atlantica. Idee semplici ed efficaci. Considerava come un grande nemico la standardizzazione: alla DDB, lasciava i creativi alle sue dipendenze liberi di agire, dando a ciascuno la possibilità di crescere a proprio modo. Per entrare alla DDB, aveva fissato due sole ma essenziali condizioni: avere talento ed essere una persona perbene. In mancanza di una delle due, la sua risposta era cortese ma negativa. Le pubblicità da lui create contenevano caratteristiche che oggi stentiamo a definire qualità, ma erano destinate a perdurare nella memoria del pubblico (non è un caso che adesso le stiamo citando ad esempio!) mentre invece scordiamo rapidamente gli effetti speciali più roboanti delle campagne pubblicitarie dei nostri giorni con “art-directors” di grido alla ricerca di dare “pugni nello stomaco” pur di attirare il cliente.
Anche il suo epitaffio nel necrologio sul prestigioso New York Times fu una perla di rara genialità creativa:

«I veri giganti sono sempre stati dei poeti,
uomini che saltavano dai puri fatti
al regno dell’immaginazione e delle idee».

Alla luce di tutto ciò, ora che sappiamo un po’ di più di Bill Bernbach io mi abbandono ad alcune considerazioni, e mi chiedo: dove sono finiti ai nostri giorni gli imprenditori acuti, intelligenti e lungimiranti come William Bernbach che per la propria azienda non cercava un “neolaureato, max 28 anni, 4 anni d’esperienza” ma puntava semplicemente su una brava persona con talento, passione, interesse per ciò che doveva fare? Dove son finiti oggi, in questo iperattivo XXI secolo, i Bill Bernbach che danno più importanza a quello che potrai fare con il tuo talento e non a quello che hai già fatto? D’altronde, si sa, che i Galileo, i Manzoni, i Dante, gli Einstein non nascono ogni giorno, ma, accantonando per un momento l’orgoglio e la superbia, sapendo di non essere né Galileo, né Manzoni o Dante, e tanto meno Einstein, si potrebbe almeno prendere l’esempio, no?

Vincenzo Mangione

 

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E buona lettura.