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Non chiudete il Salone Margherita, tempio di cultura e libertà
Articolo tratto dal terzo numero de «Il Caffè» del ventiquattro ottobre 2020.
Quando la logica puramente economica prevale erga omnes, aleggia nell’aria una sorta di impotente tristezza. Che però non deve (o non dovrebbe) indurre a rassegnarsi e a cedere le armi nella difesa di un patrimonio che non è soltanto legato a chi, in e per esso, ha speso impegno e risorse. Ma anche e forse soprattutto, alla tradizione storico-culturale ed artistica dell’intero Paese. Parliamo in particolare della vicenda che ha per protagonista il Salone Margherita, gioiello architettonico liberty costruito nel 1898 dai fratelli Marino che ha visto esibirsi sulle assi del suo palcoscenico, solo per citarne alcuni, artisti del calibro di Ettore Petrolini, Totò, Aldo Fabrizi e Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1972 è stato rilevato dalla compagnia di Castellacci e Pingitore, che ne fecero il meraviglioso scenario di spettacoli di successo (quelli del Bagaglino), in seguito trasmessi in televisione con punte di 14 milioni di audience. In seguito, dopo una fase di stallo, il teatro di via Due Macelli (nel cuore di Roma, a due passi da piazza di Spagna) è stato preso in affitto dall’imprenditore del settore Nevio Schiavone, che l’ha restituito a nuova vita proponendo per un lungo periodo un cartellone di circa 320 serate l’anno, con spettacoli di varietà, cabaret, opera lirica e concerti, frequentate complessivamente nel suddetto arco temporale da 30 mila spettatori.
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Oggi però, purtroppo, sembra che nonostante gli sforzi il sipario si chiuderà. Stando infatti a quanto dichiarato ai media da Schiavone, già da due anni il proprietario dell’edificio (la Banca d’Italia) preme per riavere la struttura per metterla all’asta, nonostante la regolarità nel pagamento dell’affitto e l’impegno della società da lui diretta (la Marino & C.) a farsi carico della manutenzione del meraviglioso locale. Senza contare che a tale già difficile contesto, nel 2020 si è aggiunta la tragedia della pandemia di covid 19, con conseguenze che, per il mondo del teatro, sono più che drammatiche. “Lasciamo consapevoli ed orgogliosi di aver dato nuova linfa vitale in questi ultimi 8 anni al Salone” ma ora “non è più possibile continuare” sono le parole dell’impresario, che ha dunque deciso, a partire dal 30 settembre, di rinunciare alla gestione dello storico Teatro. Schiavone, stando al comunicato stampa pubblicato sulla seguitissima pagina facebook del Salone Margherita, ha poi aggiunto che secondo lui la proprietà non lascerà la struttura al degrado e la concederà, in attesa di venderla (si parla di una cifra di circa 10 milioni di euro), con contratti transitori alle compagnie teatrali che ne faranno richiesta. C’è comunque il rischio che, una volta passata di mano, nell’ottica della logica prettamente economica a cui si è fatto cenno all’inizio, la struttura (per la quale al momento non risulta sussistere un vincolo di destinazione d’uso), una volta passata di mano possa essere trasformata in qualcosa d’altro. Come un centro commerciale di lusso, che sarebbe senz’altro più redditizio di un teatro, ma rappresenterebbe l’ennesimo atto di cancellazione, in nome del “dio denaro”, di radici, cultura e identità.
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Si tratta comunque al momento soltanto di ipotesi. Lo stesso Schiavone ha fatto sapere di voler continuare a lavorare per mantenere in vita l’amato tempio del cabaret romano e con lui, in difesa del Salone Margherita, hanno fatto sentire la loro voce molti artisti che negli anni ne hanno calcato il palco. Tra i più convinti c’è Pier Francesco Pingitore, che ha reso noto di essere al lavoro su un nuovo spettacolo, da presentare al pubblico non appena si uscirà dall’emergenza coronavirus: “Il solo pensare che il Margherita possa non riaprire i battenti – ha detto tra l’altro il Maestro – mi sembra inconcepibile. Sarebbe un offesa grave alla cultura, allo spettacolo, alla sensibilità degli spettatori che in centinaia di migliaia dal vivo ed in milioni attraverso la televisione hanno apprezzato questo luogo splendido, consegnato ormai da molti anni alla storia del costume e all’affetto dei romani. Sarebbe grave. Ma certamente non sarà. Non potrà esserlo”. Dunque “più che una calata di sipario definitiva – si conclude il comunicato – potremmo forse assistere oggi a un blackout momentaneo in attesa di vedersi riaccendere, Bankitalia permettendo, più forti che mai le luci sul palcoscenico più amato d’Italia”. Un palcoscenico, vale assolutamente la pena ricordarlo, su cui sono andate in scena non solo la satira e la cultura, ma anche (e forse soprattutto), la libertà di pensiero. Quella che, in passato, ha permesso di far risuonare tra le mura del Salone Margherita voci emozionate di ogni età cantare in coro inni di grande valore spirituale. Come la Sagra di Giarabub. Voci che allora come oggi, rappresentano l’anima di un luogo simbolo che, per il bene di tutti, non può e non deve andare perduto.
Cristina Di Giorgi
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E buona lettura.