L’Universale editore


Mussolini ha sempre ragione

Novantacinque anni fa, il 16 febbraio 1926, sul terzo numero della rivista L’Italiano diretta dal giovane Leo Longanesi comparve un motto destinato a diventare celebre: “Mussolini ha sempre ragione”.ย 

Il 3 gennaio del 1925 Benito Mussolini, alla Camera, inaugurava la dittatura fascista, chiudendo la preoccupante crisi aperta dall’omicidio Matteotti: “Assumo, io solo, la responsabilitร  politica, morale, storica, di tutto quanto รจ avvenuto”. Nell’indifferenza generale il duce assunse il comando dello Stato autoritario e il 16 febbraio del ’26, sul terzo numero de Lโ€™Italiano, comparve un motto destinato ad avere fortuna: โ€œMussolini ha sempre ragioneโ€. Inserito con qualche variante nel Vademecum del perfetto fascista, edito dallโ€™editore Vallecchi a Firenze, lo slogan coniato da Leo Longanesi finรฌ a grandi caratteri sui muri delle case. Lo scopo del giornalista romagnolo era quello di esercitare una satira, di sviluppare un paradosso che avrebbe dovuto far notare lo scenario di cartapesta che il regime stava costruendo con la propaganda. Ma Mussolini, a cui quel motto piacque parecchio, ci credette, e, peggio, ci credettero anche gli italiani. Perfino oltreoceano, nella democratica America, il duce italiano riscosse consensi: โ€œNella sua persona si fondono le doti di Mazzini con quelle di Cavourโ€, scriveva il New York Times lโ€™11 maggio del โ€™24.

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Mussolini governรฒ da solo per ventโ€™anni; nemmeno nel direttorio del Partito fascista era possibile trattare argomenti politici. Quando era necessario prendere decisioni di fondamentale importanza, anche nelle ore piรน concitate del regime, Mussolini arrivava abitualmente alle riunioni del gabinetto dei ministri con lโ€™ordine del giorno giร  pronto e deciso. Nella sua visione, i ministri erano soltanto degli esecutori, non dei consulenti. Anche alla Camera, allโ€™arrivo del duce, i deputati e il pubblico delle gallerie si levavano in piedi per sommergerlo dโ€™applausi. A Palazzo Venezia, i ministri dovevano attraversare lโ€™immensa sala del mappamondo, per raggiungere la grande scrivania di Mussolini, di corsa, per poi ritirarsi con passo svelto una volta dopo aver preso gli ordini. In questo clima da commedia, quando nel giugno del โ€™40 lโ€™Italia dichiarรฒ guerra a Francia e Inghilterra era completamente disarmata.

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Mussolini aveva assicurato al Paese โ€œotto milioni di baionette bene affilate e impugnate da giovani e intrepidi fortiโ€, ma non poteva nascondere che cโ€™era la stoffa necessaria per vestire solo un milione di soldati. Dopo aver firmato lโ€™armistizio con una Francia sconfitta dalla Germania, il vanitoso Mussolini invitรฒ i giornalisti a Villa Torlonia perchรฉ ammirassero il suo stile tennistico in una partita giocata contro un professionista. Essi dovettero assistere increduli ad una carnevalata pietosa; non riusciva a colpire di rovescio e colpiva la palla dal basso. Ma per sua fortuna lโ€™arbitro era il segretario del Partito fascista, Achille Starace, il quale dopo un solo set proclamรฒ Mussolini vincitore col punteggio di sei a due. Artefice e vittima in un mondo di finzione architettate con cura, con alle spalle un esercito composto da artiglierie vecchie di ventโ€™anni ed aeroplani che raramente riuscivano a decollare, Mussolini decise di dichiarare guerra agli Stati Uniti dโ€™America. Alle tredici dellโ€™11 dicembre โ€™41, i romani vennero sorpresi da unโ€™inaspettata, grande notizia: i meglio informati erano convinti che la Russia avesse chiesto lโ€™armistizio e Mussolini era pronto a dare lโ€™annuncio dal balcone di Palazzo Venezia. Tutti, eccitati e affamati, attesero il duce nella piazza colma.

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Alle quindici, ecco finalmente Mussolini: โ€œLe potenze del Patto di acciaio, lโ€™Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre piรน strettamente unite, scendono oggi a lato dellโ€™eroico Giappone contro gli Stati Uniti dโ€™Americaโ€. La folla, abituata da ventโ€™anni ad applaudire, applaude. Ma saranno gli ultimi applausi. โ€œIt is very tragicโ€, confessรฒ lโ€™ambasciatore americano a Roma. โ€œAncora unโ€™altra guerra, ancora un altro nemico da insultare sui giornaliโ€, sospirรฒ Mario Pannunzio. โ€œDobbiamo discorrere di questioni militari delle quali ben poco capiamo, che evadono dal nostro mestiere. รˆ come se entrassimo in unโ€™altra persona piรน stupida di noi. Alla fine della giornata si รจ stanchissimi per la fatica di aver sostenuto un peso inutileโ€, esclamรฒ Alberto Moravia. Pochi giorni dopo, Mussolini chiese separatamente a Longanesi e a Giovanni Ansaldo cosa pensassero dellโ€™intervento: โ€œIo gli ho chiestoโ€, disse Ansaldo, se ha mai veduto lโ€™elenco telefonico di New York. E lui non mโ€™ha saputo rispondere, ha solo scrollato le spalleโ€. โ€œIo inveceโ€, replicรฒ Longanesi, โ€œgli ho suggerito di guardarsi attentamente Life e lui mโ€™ha risposto che sbagliavo, che รจ piรน bella la rivista del Popolo dโ€™Italia. Non cโ€™รจ scampo. Abbiamo perso la guerraโ€.

Stefano Poma

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