L’attentatore era una guardia giurata di Honolulu (Hawaii) e viaggiò fino a New York col proposito di uccidere l’ex leader dei Beatles

Alle 23:07 una voce squarcia il silenzio della notte e nell’ombra chiama «Mister Lennon!» e subito dopo una raffica di sei colpi di pistola, di cui cinque vanno a segno sulla schiena di John Lennon che cade a terra esanime sotto gli occhi della moglie Yoko Ono all’ingresso del Dakota Building in cui la coppia risiedeva. L’assassino, Mark David Chapman, venne immediatamente disarmato e bloccato dal portiere del lussuoso palazzo newyorkese, mentre una pattuglia della polizia accorsa sul posto prelevò il ferito e lo trasportò al “St. Luke’s-Roosevelt Ospital” dove arrivò ormai privo di conoscenza e, pochi minuti più tardi, ai medici non restò che constatare la sua morte. L’attentatore era una guardia giurata di Honolulu (Hawaii) che viaggiò fino a New York col proposito di uccidere l’ex leader dei Beatles  per esprimere la sua indignazione nata in seguito alla frase di Lennon «i Beatles sono più popolari di Gesù», ma soprattutto per la contraddizione tra il rifiuto del possesso espresso nel testo di «Imagine» e la ricchezza personale dell’artista. Quell’8 dicembre venne assassinato un artista speciale, spesso controcorrente per quei tempi, uno strenuo difensore della pace, dei diritti umani e del dialogo tra diverse culture, ma soprattutto un opinion leader per i movimenti giovanili dell’epoca. Alla notizia della morte si radunarono in migliaia davanti all’ospedale e nelle piazze di mezzo mondo, intonando tra le lacrime le immortali note di «Imagine» e «Give peace a chance», due inni alla pace e all’uguaglianza dei popoli. Il 14 dicembre tutte le radio di New York smisero di trasmettere musica per la durata di dieci minuti per una preghiera silente come proposto da Yoko Ono. Bruce Springsteen aprendo un concerto dirà «Se non fosse stato per John Lennon, oggi molti di noi non sarebbero qui».

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