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PPP: L’ULTIMO INTELLETTUALE.
Cento anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini. È stato un “unicum” nella nostra storia culturale non essendoci stato più nessuno che abbia raccolto l’eredità di poeta, regista, opinionista e intellettuale.
Fu assassinato nel 1975. E dopo 47 anni su quell’omicidio restano tante ombre!
Leonardo Sciascia lo definì ”fuori dal tempo”, ovvero singolare e non ideologico e torna in mente quel suo verso de «La meglio gioventù», “Raccogliersi in sé e pensare”, scritto a nemmeno trent’anni. È proprio quel poeta riflessivo a mancarci oggi, l’intellettuale “luterano e corsaro”, come intitolerà i suoi scritti, che attacca il degrado della società e il conformismo, le idee e l’essere della piccola borghesia benpensante e il potere dei Palazzi che ne è l’espressione.
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Nasce a Bologna il 5 marzo 1922, Pasolini visse negli anni ‘40 a Casarsa del Friuli. Nel ’49 durante una sagra a Ramuscello, un paesino vicino Casarsa, venne denunciato per atti osceni in luogo pubblico e accusato di corruzione di minori. Quindi fu espulso dal Partito Comunista, perse il posto d’insegnante alla scuola media di Valvasone. Decide quindi di abbandonare il Friuli, spezzando il cuore alla sua amatissima madre e nel 1950 fugge a Roma.
I primi anni romani sono difficilissimi, proiettato in una realtà del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d’insicurezza, di povertà, di solitudine. Pasolini, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, cerca di trovarsi un lavoro da solo. Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali. Nella capitale sempre più, col passare degli anni, la sua vicenda biografica si identifica con quella spesso agitata dello scrittore, dell’artista, dello studioso e dell’intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, anche in sede giudiziaria, la propria radicale diversità, fino appunto alla morte, materialmente ucciso da uno o più dei suoi “ragazzi di vita”.
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Lo stesso Pasolini dirà di se stesso: «Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell’incrocio dell’unità d’Italia. Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma»
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Uomo apparentemente chiuso, friulano in tutto e per tutto, preso dal suo pensare, poeta e scrittore tra le mura del suo studio, autore di molte raccolte di versi (riunite poi sotto il titolo «Bestemmie»), di romanzi come «Ragazzi di vita» ,«Il sogno di una cosa» o «Teorema», di testi teatrali, da «Porcile» a «Affabulazione», divenne anche regista di film di successo, da «Accattone» a «Mamma Roma», da «Uccellacci e uccellini» a «Medea», da «Il Vangelo secondo Matteo» a «Salò e le 120 giornate di Sodoma» che ne fecero personaggio pubblico da rotocalchi, che sfruttarono anche lo scandalo dei suoi vari processi per “oscenità” o “apologia di reato” e del suo sentirsi “inorganico” e “disomogeneo” al mondo in cui operava con quella sua “retorica della provocazione”, nell’analisi delle ideologie e comportamenti della cultura e della violenza della società neocapitalista, capace di affascinare ancora le giovani generazioni col suo «scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore / in luce, contro di te nelle buie viscere» (da parte IV de ”Le ceneri di Gramsci”).
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Pasolini analizza, riconosce e denuncia l’involuzione della nostra società con i suoi guasti e ingiustizie, reagendo con provocazioni personali sulla prima pagina del “Corriere della Sera” che fanno scandalo, dal suo “NO” alla legalizzazione dell’aborto, alla proposta di abolire la tv e la scuola media. O quando dichiara che negli scontri di Valle Giulia fra studenti e polizia lui sta dalla parte dei poliziotti, poiché erano per lo più figli di operai e di contadini e non esita a schierarsi invece contro gli studenti, figli di borghesi. Ma in realtà quando rinfaccia agli studenti di fare una lotta interna alla borghesia stessa, dice anche che invece di rinnovare la borghesia, che è irredimibile, devono andare nelle sezioni per rinnovare dall’interno il Partito Comunista.
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Va contro il mercato globale «che ha una sola regola: l’efficienza. I consumatori devono essere uno identico all’altro e desiderare le stesse cose da prodursi in serie, con redditizie economie di scala». Ogni differenza deve essere cancellata, in nome e con la scusa della tolleranza.
Denunciava come l’Italia stesse vivendo un «processo di adattamento alla propria degradazione» che trasforma istituzioni come famiglia e chiesa in istituzioni obsolete abbandonate o svuotate di senso, come anche la politica tradizionale. E diteci se queste parole non siano drammaticamente attuali!
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«Tutto ciò fa di lui non solo un grande autore, ma anche un grande personaggio. E l’unico modello precedente, forse, è D’Annunzio» ha dichiarato Gian Carlo Ferretti, suo amico e studioso che proprio in occasione del centenario della nascita ha pubblicato «Pasolini personaggio». La sua schiettezza intellettuale delle idee diede scandalo oltre che per la sua vita e la sua omosessualità. Le sue poesie, i romanzi, i film e soprattutto gli innumerevoli scritti critici, teorici, civili sulle arti e sulla società, dopo la sua morte sono state terreno fertile per il dibattito culturale non solo italiano, un punto di riferimento e una presenza viva tra studiosi e studenti proprio mentre ci si lamenta di come sia dimenticata la gran parte della cultura letteraria del secondo ‘900. In una poesia della «Nuova gioventù», Pasolini si rivolge a un giovane fascista, invitandolo a creare una «destra sublime». Sono versi in friulano che Pasolini stesso tradusse: «Difendi il prato tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienila nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia, lo sai, è sapienza santa. Difendi, conserva, prega!».
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Ancora lo stesso Ferretti scrive «a differenza di altri, non è solo un autore che ha un’autorevolezza che gli deriva dall’essere un grande poeta, romanziere, regista e critico, ma al tempo stesso è un intellettuale continuamente compromesso con la realtà. Uno scrittore che segue tutto ciò che succede, che analizza e critica la società e il mondo, che denuncia e provoca, che prova a conoscere tutto ciò che non si sa o che si tace. Pasolini viene attaccato dalla stampa reazionaria e da quella amica e colleziona 33 procedimenti giudiziari. Sembra ci sia un ricorrente e perfetto sincronismo tra la persecuzione e la sfida, lo scandalo e il successo sui media e sul mercato. Tutto ciò fa di lui non solo un grande autore, ma anche un grande personaggio. E l’unico modello precedente, forse, è D’Annunzio». Valerio Magrelli lo definisce sinteticamente «poeta, filologo e sciamano, pedagogo socratico e martire nel senso letterale del termine (ovvero “testimone”)».
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In vita ha ottenuto successo qualsiasi cosa facesse. Al provocatore e perseguitato, si deve aggiungere anche il personaggio pubblico, il tessitore di relazioni e amicizie, e anche il narcisista. Era ovunque: nei dibattiti, in tv, nei premi letterari, nei festival, nei giornali. Comunque, presso il grande pubblico il successo maggiore glielo diede il cinema, soprattutto la “Trilogia della vita” girato tra il 1971 e il 1974: «Il Decameron», «I racconti di Canterbury» e «Il fiore delle Mille e una notte».
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La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell’Idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. Sarà il suo amico più fedele, l’attore Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini. Nella notte i carabinieri fermarono un giovane diciassettenne, Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana” alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri e di fronte all’evidenza dei fatti, confessa l’omicidio.
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Racconta di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini e dopo una cena in un ristorante, aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere. Dagli atti del processo risulta che “PPP” fu picchiato selvaggiamente e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia di Ostia. Secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente.
Il processo che ne segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si palesa da diverse parti il concorso di altre persone nell’omicidio ma purtroppo non vi sarà arriverà mai ad accertare con chiarezza la dinamica dell’omicidio. La ricostruzione di Pelosi, come accertato da autorevoli testimonianze esterne e pareri della magistratura, era distorta.
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Gli abiti del ragazzo non presentavano tracce di sangue ed era ampiamente improbabile che un uomo della stazza di Pasolini non riuscisse a difendersi contro un ragazzino. La sentenza di primo grado a carico di Pelosi lo condannò per omicidio volontario in concorso con ignoti. Ma questi ignoti chi erano? Piero Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.
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Ma su questo omicidio Oriana Fallaci, scrittrice ed amica di Pasolini indagò per suo conto e pubblicò un reportage in cui ipotizzava che le cause dell’omicidio Pasolini avevano poco a che fare con l’omosessualità. Fu ipotizzato, in seguito a testimonianze raccolte dalla stessa Fallaci, che il gruppo avrebbe tentato una rapina a Pasolini degenerata nel delitto. Una rapina che potrebbe aver avuto i connotati di un ricatto.
Un collaboratore di Pasolini Sergio Citti ha rivelato che il regista sarebbe andato all’idroscalo di Ostia per via di un ricatto subito sul suo film «Salò o le 120 giornate di Sodoma», allora nelle ultimissime fasi della post-produzione, le cui copie furono trafugate e Pasolini intavolò una trattativa con alcuni personaggi non ben specificati per riaverle. Tuttavia questa teoria non ha avuto riscontri oggettivi e Citti – stranamente! – morì poche settimane dopo.
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A sorpresa, nel 2005, (dopo trent’anni?!) Pelosi ritrattò: dichiarò di non essere stato solo quella notte (che era già appurato anche dalla magistratura in sede processuale!) ma la novità sostanziale è che con lui non c’era una banda di ragazzini, ma uomini dallo spiccato accento siciliano non ben identificati a bordo di un’auto targata Catania. Queste persone avrebbero veramente massacrato Pasolini e il ragazzo sarebbe stato solo un capro espiatorio. Pelosi, però, decise di parlare “fuori tempo massimo” e le sue dichiarazioni sono state spesso ritenute non veritiere.
C’è anche un altro dettaglio. Nei giorni successivi l’omicidio una telefonata anonima in Polizia segnalò che un’auto targata Catania seguiva effettivamente l’Alfa di Pasolini.
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Purtroppo nessuno diede credito a quest’ipotesi. Si disse che Pelosi trent’anni dopo avrebbe potuto distorcere i fatti a suo piacimento, e ciò è anche vero, ma certamente l’ipotesi delineata sarebbe molto più plausibile di una presunta rapina da parte di una banda di ragazzini. Quindi la morte di Pasolini dopo 47 anni è ancora avvolta nel mistero anche per la mitizzazione che il poeta (involontariamente) creò intorno a sé: omosessuale, comunista, provocatore, ineccepibile retorico ed anti-borghese: una somma di etichette che avrebbe reso chiunque inviso a buona parte dell’opinione pubblica d’allora. Pasolini era fortemente osteggiato sia da destra che da sinistra, eppure sempre profondamente lucido e intellettualmente onesto.
Il corpo di Pasolini è stato sepolto nella “sua” Casarsa.