Al “Mudec” la statua del giornalista con in grembo una bambina eritrea.

L’arte – si sa – per sua natura non può avere confini. E spesso sconfina nell’ideologia. Dopo che lo scorso anno a Milano la statua di Indro Montanelli, sull’onda del movimento Black Lives Matter, fu imbrattata di vernice rosa per l’ennesima volta per denunciare il razzismo e il sessismo del giornalista che durante la guerra in Etiopia sposò una dodicenne, qualcuno pensò: «Non è sufficiente». Ecco che Cristina Donati Mayer, che si definisce «artivista» – (una crasi tra attivista ed artista) superò le barriere di protezione della statua e mise sulle ginocchia bronzee di Montanelli un fantoccio nero raffigurante una bambina eritrea. Ma anche la Giustizia non conosce limiti. E così, nel giorno del 15° anniversario della morte di Oriana Fallaci, al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, viene inaugurata una mostra permanente, dal titolo Milano globale, che affronta temi complessi come le migrazioni e il colonialismo «per dare una maggiore consapevolezza di quello che è stato il passato e per costruire un futuro di dialogo». Nella sezione dedicata alla «Decolonizzazione» è esposta una riproduzione della statua di Montanelli con in braccio il fantoccio della dodicenne eritrea. Titolo dell’opera: «Il vecchio e la bambina». A parte che la parola «vecchio» quindi non è sempre “politicamente scorretto”  ma talvolta i fanatici della cancel culture, se ne dimenticano. Anche “The Economist”, la settimana scorsa, metteva in guardia dalla «sinistra illiberale». Per il resto, è il caso di ricordare che quando, nel 1952, Montanelli tornò in Etiopia per incontrare la ragazza – che si chiamava Destà – ormai diventata donna, fu da lei accolto con affetto. E sulle ginocchia del giornalista mise il proprio di figlio, avuto da un uomo della sua tribù. Lo aveva chiamato Indro.

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